Black: thriller, fantasy, comicità e cronaca vera

Premessa

Questa serie è per chi non ha paura di vedersi diciotto puntate di un’ora e venti in coreano con sottotitoli in italiano assai sintetici – tipo un discorso di dieci secondi riassunto in una frase di tre parole, il che non aiuta la comprensione della complicata trama ma d’altro canto permette di non perdersi le scene – e per chi non si aspetta una seconda stagione a tutti i costi.

Trama

Black è lo spietato “tristo mietitore” n. 444, che a causa di un imprevisto finisce per indagare su un misterioso omicidio: s’impadronisce del corpo di un detective morto (Han Moo-gang) e pian piano cambia atteggiamento infrangendo tutte le regole dell’aldilà, compreso il divieto di innamorarsi di un’umana, ovvero Kang Ha-ram, ragazza infelice perché fin da piccola ha la capacità di prevedere la morte delle persone e perciò viene volentieri scambiata per pazza. Detto questo, la trama è piuttosto complessa, una specie di matassa dipanata lentamente in cui spesso le cose non sono come sembrano e dove si moltiplicano i colpevoli. Probabilmente la sinteticità dei sottotitoli non aiuta: vien quasi voglia di studiare il coreano.

Segni particolari dei protagonisti

Ha-ram indossa occhiali da sole per non vedere le ombre che aleggiano su chi sta per morire. Toccando le persone vede anche in che modo accadrà il decesso.

Moo-gang/444 viene soprannominato “black” per due motivi: 1. è figo come Brad Pitt nel film “Ti presento Joe Black” 2. perché solo vestendosi di nero riesce a nascondere la sua vera natura a Ha-ram. Anche se in forma umana può teletrasportarsi da un luogo all’altro, basta che ci sia una porta (spesso quella di una toilette o di un armadio).

Genere

Mix di fantasy, thriller e romance, con siparietti comici. Non ci si annoia.

Ritmo

Buono nonostante vari “repetita iuvant” dei momenti cardine.

Atmosfera

Assai tormentata, alleggerita da gag che non c’entrano niente – e forse spassose proprio per quello.

Finale

Malinconico o anche no, dipende dai punti di vista.

Cosa mi è piaciuto

Confesso di aver faticato un po’ ad arrivare alla fine della prima puntata, ma non per poco interesse nella storia, anzi, quello mi ha aiutato a superare il personaggio che sbaglia mira e si piscia su una mano, quello che vomita e ti fanno vedere COSA vomita, il detective che fruga nel cadavere. Insomma, qui di patinato c’è ben poco, ci sono poliziotti “sfigati” in uffici squallidi – s’intravede pure il telefono sporco – ci sono attori VERAMENTE brutti o anonimi o con visi ordinari, con il risultato di mettere in particolare risalto le poche bellezze maschili e femminili. Alcuni poliziotti hanno strane abitudini, si urlano contro, si menano, si mordono… in generale i sentimenti e i dilemmi interiori sono un po’ sopra le righe eppure molto umani.

Alla fine della serie ho scoperto (da un accenno nei sottotitoli) che alcune vicende sono ispirate a veri scandali e situazioni spinose della società coreana – come il crollo di un centro commerciale con numerose vittime, la prostituzione minorile, l’alto tasso di suicidi.

Cosa mi è piaciuto meno

Qualche defaillance narrativa – personaggi accantonati in fretta o abbandonati, situazioni poco risolte, telecamere di sorveglianza piazzate “casualmente” su una scogliera così da scoprire quel che c’era da scoprire – e un paradosso finale poco chiaro. Qualche errore di montaggio. Il tutto superato con la curiosità di sapere chi era il colpevole e come sarebbe finita la castissima e impossibile storia d’amore.

Lo consiglio?

Vedi premessa. Io intanto passo alla prossima serie coreana.

Vedi la scheda su Netflix

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