Marco Archetti . Vent’anni che non dormo . Feltrinelli

Vita grama e puzzolente quella di Marco, giovane che ha dato forfait in diversi campi: come studente universitario, come lavacessi in autogrill, come convivente e come padre. Per tirare avanti il nostro si parcheggia dai genitori (giusto in tempo per assistere alla loro separazione), poi riprende il suo stanco cammino come cameriere in un ristorante e come coinquilino di Chiara, ragazza iscritta a un’Università fantasma, piena di amici e incline a concedersi con romantica facilità. Disorientato e irresponsabile, Marco nel suo tirare a campare a un certo punto non trova niente di meglio da fare che vendere a colleghi e conoscenti i favori sessuali di Chiara (alla di lei insaputa) così segnando, senza saperlo, la propria rovina.

“Vent’anni che non dormo” di Marco Archetti (I Canguri Feltrinelli) è una storia di disagio giovanile in un mondo, nel migliore dei casi, solitario e incerto. Superficiale, emozionalmente confuso, sensibile solo agli odori che il fine olfatto non gli perdona e al ricordo dell’amatissimo nonno partigiano, a cui spesso si aggrappa, Marco ha intorno a sé colleghi di lavoro ostili o indifferenti, una madre debole e un padre che non lo ha mai capito, l’ex convivente Laura affettuosa con distacco e una figlia che non lo riconosce come padre; uniche pseudoamicizie, Chiara e il trans Samantha: per caso di convivenza la prima, per caso d’infortunio la seconda. Qualche empatia tra reietti scatta, a tratti, con il cane Mario. È una storia di ordinaria sopravvivenza quella di Marco, eterno bimbo sperduto da quando il nonno, portandolo a passeggio, perse all’improvviso mente e ricordi lasciando il piccolo senza punti di riferimento: la frase ricorrente “Questo bambino piuttosto. Mi sa che s’è perso. Dovremmo aiutarlo, che dite?” è l’emblema di una condizione cronica. L’unica cosa da fare è continuare a camminare con eroica rassegnazione: “perché siamo qui. Perché siamo vivi. E siamo padri e figli di una crudele pazienza”.

Scarna e popolata da personaggi sommariamente delineati, la trama prova a rendersi più interessante attraverso acrobazie linguistiche non sempre felici, talvolta sibilline, dosate con incostanza come i toni: si passa dall’insistita scatologia delle prime pagine a una narrazione che oscilla tra l’andante con ironia (amara) e la standardizzazione, mentre il leitmotiv olfattivo coinvolge il lettore sensibile in un effetto odorama volutamente poco piacevole; descrizioni impietose lasciano il posto a momenti di divertente assurdità in un misto senza coordinate. Risultato: a giudicare dai commenti raccolti in Internet, o si ama o si odia. Parere personale: sconsigliato ai maggiori di 30 anni, e comunque meglio leggersi o rileggersi l’autore più invidato da Archetti, Nabokov.

P.S. – Il titolo si riferisce alla stanchezza esistenziale del protagonista, distrutto come se non dormisse da vent’anni.

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