L'arte di partire

Ayelet Tsabari . L’arte di partire . Nuova Editrice Berti

Perdere l’amato padre un mese prima del decimo compleanno è stata la fine e l’inizio di tutto per Ayelet. Quel trauma infantile l’ha spinta a fuggire dai legami e da ogni cosa valesse la pena di possedere; cresciuta in Israele, avvezza a un clima di minaccia costante e di quotidiano pericolo in cui è più sicuro muoversi che restare fermi, per molti anni ha viaggiato pronta a ripartire in qualsiasi momento, vivendo senza risparmiarsi. Le esperienze e la capacità d’introspezione le hanno mostrato col tempo le motivazioni del suo vagabondare, portandola infine a un equilibrio: il partire le ha insegnato a restare.

Dopo la raccolta di racconti «Il posto migliore del mondo», vincitrice del Sami Rohr Prize 2015 per la letteratura ebraica, la scrittrice israeliana di origini yemenite Ayelet Tsabari torna in libreria con «L’arte di partire», memoir tradotto da Cecilia Mutti e pubblicato dalla Nuova Editrice Berti.

L’autrice prende le mosse dal lutto di bimba – bandolo della matassa – per raccontare il proprio percorso di vita e il suo rapporto con la scrittura in modo appassionato e sincero. La vediamo mentre cerca un modello femminile positivo nella prima giovinezza e adolescenza, poi nei due anni di leva durante i quali l’insofferenza la spinge a farsi assegnare compiti sempre più umili. Viaggiare dopo il servizio militare è un rito di passaggio in Israele, ecco allora l’India, la Thailandia, gli Stati Uniti, il Messico; Ayelet si innamora di uomini che sembrano avere la stessa sensibilità del padre e per raggiungere uno di loro arriverà a Vancouver, in Canada, futura seconda patria. Nell’andare e tornare da Tel Aviv al resto del mondo affronta i problemi di integrazione, cercando di mostrarsi diversa ma scoprendo il pericolo di alienarsi dal suo patrimonio culturale e da sé stessa. Dopo quasi un decennio il fascino del girovagare inizia a indebolirsi, aprendo al cambiamento: un rapporto si consolida, arriva una figlia. Ayelet può allora ritrovare e abbracciare le proprie radici, ripensare il rapporto con famiglia, risanare l’antica ferita pubblicando le poesie del padre – colui che aveva promesso alla figlia di pubblicare i suoi scritti in un vero libro, senza riuscirci. Trova finalmente un senso alla parola «casa»: è il raccogliere storie, raccontarle. «La mia casa è la pagina bianca. Il solo posto dove voglio sempre, sempre tornare».

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