Sei gradi

Mark Lynas . Sei gradi . Fazi Editore

Sono passati cinque anni da quando Mark Lynas, giornalista e attivista britannico, ci avvisava sui rischi del riscaldamento globale nel libro «Notizie da un pianeta rovente». A quanto pare da allora la situazione non è migliorata, come l’autore racconta nel nuovo saggio «Sei gradi», con prefazione del climatologo Luca Mercalli (Fazi Editore).

Il tema è sempre lo stesso, e si basa ancora sullo studio effettuato nel 2001 dal Comitato Intergovernativo per i Cambiamenti Climatici, vincitore del Nobel per la pace nel 2007: l’anidride carbonica nell’atmosfera sta aumentando a una velocità che non ne permette l’eliminazione tramite processi naturali, ed è arrivata a una concentrazione mai vista in 420.000 anni. Se l’umanità non cambierà rotta, entro la fine di questo secolo la temperatura globale del pianeta aumenterà da un minimo di 1,4 fino a 5,8 gradi. Sei gradi in più significa fine di quasi tutte le forme di vita, compresa la nostra.

Come il precedente saggio, «Sei gradi» analizza i problemi sorti nei cinque continenti e ipotizza verosimili scenari futuri, grado per grado in scala crescente; ma qui l’emergenza è sottolineata in modo più deciso: intere zone inabitabili, popolazioni cancellate, molti territori desertificati e molti altri devastati da alluvioni e uragani, questo è il pianeta prossimo venturo. Per fare un esempio, due o tre gradi in più trasformerebbero le nostre Alpi in una «brulla steppa polverosa dai toni giallastri», le conifere soppiantate da radi arbusti mediterranei, neve e ghiacciai solo un ricordo. Lontano dalla ricerca di facili sensazionalismi, Lynas ha raccolto con pazienza e rigore una grande quantità di dati e informazioni scientifiche, traducendoli in un linguaggio discorsivo ed efficace.

Non è facile sensibilizzare un’umanità abituata a sfruttare il pianeta senza rispetto: decenni di ricerche, miglialia di convegni, allarmi ed esortazioni sembrano cadere quasi nel nulla; anche scelte d’impegno modesto, come l’applicazione del Protocollo di Kyoto, sembrano troppo impegnative per i governi. Eppure, come afferma l’autore nel capitolo conclusivo, il futuro è nelle nostre mani: riusciremo a non distruggere il pianeta sul quale viviamo?

Articolo pubblicato sulla Gazzetta di Parma

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